MIA FIGLIA LEUCEMICA TRA I CALCINACCI
di Sabina Minardi
Curata dal migliore medico, ma costretta a subire il degrado. Finché un'infezione l'ha uccisa. A 22 anni Al Day Hospital di Ematologia del Policlinico, la dottoressa non aveva avuto dubbi: "È un linfoma. Ma sua figlia è curabile. Ed è guaribile al 100 per cento. L'unica condizione è che Luana sia seguita nel nostro centro. La cura durerà circa tre anni. Ovviamente, non è un raffreddore", aveva detto al padre. Per morire, Luana ha impiegato tre anni. E se n'è andata per colpa di un raffreddore. Complicanza infettiva, ha ammesso la cartella clinica, al termine di un calvario di diagnosi contro le quali le terapie più devastanti tentavano di agire: linfoma non Hodgkin, leucemia linfoide acuta, sinusite. Luana aveva 22 anni quando ha smesso di vivere. Il 9 dicembre del 2000. Ma per la famiglia, per il padre, Domenico Perri, ogni particolare è impresso nella mente. Come la bocchetta di quel condizionatore che sparava aria gelida continuamente, facendo dondolare la federa del cuscino. O come l'unico apparecchio per l'aerosol del reparto: pieno di polvere, rotto, impresentabile. Allora lui si è munito di alcol. E lo ha riparato con dei cerotti. "Sono i piccoli e più insignificanti dettagli che fanno la differenza tra la vita e la morte, e si chiamano attimi", scrive questo padre nel libro-diario, che ha riversato on line (http://web.tiscali.it/mendicinoluca/). "Eravamo fiduciosi di esserci affidati ai medici migliori", ricorda: "La sezione diretta dal professor Franco Mandelli. La migliore ematologia d'Italia". Invece, tre anni di protocolli chemioterapici, annientati da pochi attimi fatali. Tre anni di andirivieni, da Lamezia Terme a Roma, per ritrovarsi in una stanza a fianco al deposito della spazzatura. Tre anni di preghiere: "Dio, sia fatta la tua volontà. Ma quanto vorrei che fosse uguale alla mia". E la tentazione di strangolare qualcuno: "Non c'era alcuna precauzione: i corridoi da percorrere per andare a fare gli esami affollati di muratori che intonacavano e stracolmi di calcinacci. Neppure una mascherina prevista
per proteggere dalla polvere. Infermieri e portantini che fumavano a pochi passi dai malati. La gente che entrava e che usciva liberamente dai reparti". Mentre la sua ragazza, col sistema immunitario impazzito e i globuli bianchi contati, 200 di numero, era esposta a ogni malattia. "Non so se Luana si sarebbe salvata", dice oggi, pacato, questo padre: "Non sono un medico, non sono in grado di dimostrare se le cure siano state le migliori. Ma certe negligenze mi appaiono ancor più grossolane, e stridono con violenza inaudita con la lotta per la vita che Luana stava sostenendo". "Raccontando, il dolore si rinnova", ha scritto il signor Perri a 'L'espresso': "Ma se può aiutare qualcuno, se può servire a ripristinare un po' di giustizia, ecco, questa è la mia storia".
(fonte)
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